
«Tito ce l’ha insegnato, le foibe non sono reato».
Lo striscione di accoglienza per i tifosi triestini in trasferta a Livorno è uno dei più famosi biglietti da visita delle Bal, le Brigate autonome livornesi, insieme ai fischi durante il minuto di silenzio per le vittime di Nassiriya e a Bandiera rossa intonata prima, durante e dopo le partite casalinghe del Livorno allo stadio Ardenza.
Questo è lo stile bal, la tifoseria a sinistra della sinistra che, secondo la versione del bomber amaranto Cristiano Lucarelli, costa al Livorno calcio l’ostilità del Palazzo berlusconiano e le angherie degli arbitri servi. Ebbene, Lucarelli avrà anche straparlato, ma chi gli chiede di tenere separati calcio e politica non sa di cosa parla.
La curva del Livorno non è una curva: è una sezione. Non si va alle partite. Ci si iscrive. E si sottoscrive il programma:
«Bal contro il razzismo, contro il fascismo e contro il capitalismo».
Il simbolo del gruppo (che ha anche un braccio politico, il Cp 1921, la Batasuna del Tirreno) è la falce e martello in versione protonovecentesca accompagnata dall’acronimo in cirillico, la divisa d’ordinanza dell’ultrà è eskimo e mimetica, i miti Che Guevara (Lucarelli ne indossa spesso la t-shirt sotto la casacca) ma soprattutto Peppone Stalin, che per le Bal, primarie o non primarie, resta l’unico candidato in grado di battere Berlusconi (in spregio al quale 7 mila livornesi si sono presentati imbandanati a San Siro per la prima di campionato).
All’Ardenza la politica viene prima di tutto, prima del calcio e persino del campanile. C’erano pure i compagni pisani due anni fa, in serie B, quando le Bal convocarono a Livorno gli ultras antifascisti di mezza Europa per dare una lezione ai fascistissimi supporter del Verona, che però furono bloccati dalla polizia prima di entrare in città. Lo scontro saltò.
Attesissimo, quest’anno, il match con la Lazio.
A Livorno le ha prese pure «l’infame Casarini». Erano i giorni della guerra in Iraq. I Disobbedienti tengono un’assemblea pubblica del movimento a Livorno. Seduti in ultima fila si sistemano una decina di giovanissimi bal.
Prima contestano Casarini («venduto», «rinnegato», «via da Livorno»), poi chiedono di parlare.
La cricca di Casarini, che in trasferta si muove con un codazzo di bodyguard dei centri sociali veneti, interviene. Volano i primi spintoni. Una signora, nota esponente della sinistra di movimento livornese, prende la parola per mediare tra le parti. Un bal non la lascia finire: «Te tu ti devi sta’ zitta, che’ i’ mi’ babbo m’ha detto che sei ‘na trotzkista». La mediazione fallisce.
Quattro cirillici escono dalla sala e fanno qualche telefonata. Dallo stadio (è domenica) arrivano i rinforzi. I disobbedienti fanno cordone. Le Bal fanno l’ariete. E sfondano tutto, compresa qualche testa disobbediente. Casarini fa appena in tempo a fuggire da una porta secondaria.
Il giorno dopo le Bal commentano l’accaduto: «I Disobbedienti che abbiamo conosciuto non sono gente del popolo, ma borghesi, figli di papà, che non capiscono le esigenze dei lavoratori».
Il Riformista